Mollare: e se fosse strategico?

Mollare: e se fosse strategico?

Viviamo in un mondo in cui sembra che se rinunci finisci dritto in un nuovo girone d’inferno dantesco.
Viviamo assillati dalla performance, dai numeri, dall’urgenza di dimostrare, mentre io ho scelto che l’unica compagna di viaggio è la mia domanda salva vita: “come mi fa stare questa cosa?”

Mollare: e se fosse strategico?

Viviamo in un mondo in cui sembra che se rinunci finisci dritto in un nuovo girone d’inferno dantesco.
Viviamo assillati dalla performance, dai numeri, dall’urgenza di dimostrare, mentre io ho scelto che l’unica compagna di viaggio sia la mia domanda salva vita: “come mi fa stare questa cosa?”
Non è un caso che abbia questa forma specifica, perchè è proprio il mio termometro emozionale che mi riporta all’ambito della scelta e della possibilità di scelta.
Noi scegliamo una quantità di cose ogni giorno e prendiamo decisioni continue, dalle più banali alle più complesse.
Sulla capacità di scelta, illuminanti, non solo nel contenuto, ma anche nello stile narrativo, due pezzi contenuti nell’ultimo libro di Annamaria Testa, Il coltellino svizzero.

Ma torniamo a noi e riprendiamo il filo di questo pezzo che oggi ho deciso di scrivere e sul sentimento di inadeguatezza che alcune volte si nasconde dietro la decisione di “lasciar perdere”.
Mi faccio aiutare da un esempio e da una riflessione.
Scelgo Van Gogh che con la sua esperienza ci spiega che “chi cambia vince”.
Questo atteggiamento si scontra con il luogo comune che ci vorrebbe tutti grintosi e intenti a non mollare mai. 
Prendiamo serenamente atto che la tenacia a tutti i costi non è sempre una buona idea.
Anzi si trasforma in testardaggine, caratteristica poco utile se esasperata.

Vincent van Gogh è arrivato all’eccellenza facendo un percorso non lineare, non specializzato, ma al contrario tortuoso e “variopinto”.
Nella sua breve vita ha provato tante strade diverse e mestieri, ma sempre con un ingrediente differenziale: una intensità folle.
Si procurava tutte le informazioni possibili, ci metteva l’anima. E ogni volta che cambiava settore ricominciava con passione, grinta, fuoco.
Nella sua vita  ha fatto il mercante d’arte, il predicatore, il commesso in libreria, l’insegnante. 
Quando iniziò a dipingere gli consigliarono di iscriversi a un corso per principianti, quanto scarsi e invendibili sembravano i suoi disegni. 
Questo non gli impedì di sperimentare con l’approccio che lo ha sempre contraddistinto e, facendo così, un giorno si trovò a dire al fratello: “dipingere mi piace incredibilmente e ho scoperto che è meno difficile di quanto pensassi”. 

Van Gogh ci lascia in eredità un’arte rivolta a tutti, che tutti potessero capire, anche la gente comune, non solo le persone colte e istruite. 
Ma tutto ciò sarebbe stato possibile se non avesse mollato le precedenti esperienze? Oggi sappiamo che la risposta sarebbe stata no.
È sempre questione di equilibrio e di ascolto, perchè da un lato promuovere la tenacia a tutti i costi non è sempre una buona idea, come non lo è mollare al primo ostacolo.
Ecco perché è fondamentale chiederci “come ci sentiamo” in quella particolare situazione e perché possiamo consentirci un cambio rotta quando abbiamo la sensazione che la strada intrapresa non faccia per noi. 

Secondo Seth  Godin, il vero fallimento è quando ci ostiniamo a portare avanti dei lavori che “non abbiamo il fegato di mollare”. 
Sapere quando è il momento giusto di rinunciare è un gran vantaggio (oltre a essere giusto e coraggioso) − ovviamente se è chiaro che non lo stiamo facendo per mancanza di perseveranza, ma perché siamo consapevoli che ci sono alternative migliori che ci aspettano.

Ricordiamoci che tutti noi impariamo chi siamo mentre stiamo vivendo e sperimentiamo, non prima.
Se vogliamo massimizzare le nostre potenzialità, possiamo serenamente mettere in conto che un modo è sperimentare diverse attività, contesti, gruppi sociali, professioni, accogliendo il rischio di dover o voler mollare, che però assume a questo punto tutt’altra connotazione e utilità.
Non scordiamoci nemmeno che se vogliamo realizzarci pienamente come individui e fare la nostra parte in questo mondo, dobbiamo prima di tutto agire.
Solo dopo aver agito possiamo riflettere, e renderci conto se stiamo andando nella direzione giusta per noi. In questo caso la tecnica del feedback strutturato restituisce informazioni fondamentali e trasforma ogni esperienza in un acceleratore di eccellenza.

La teoria è utile, ma la differenza la fa sempre e solo l’azione che ci fa scoprire e sperimentare infinite possibilità, che scopriamo facendo e non teorizzando.
Quindi acconsentiti di provare cose nuove, frequenta nuove persone e ambienti. Impara chi sei attraverso la pratica consapevole degli esperimenti.

“Porta le tue capacità dove non vengono ancora usate. Usale per problemi nuovi, oppure cerca di applicare capacità nuove ai soliti problemi.”
Oliver Smithies


Antonia Galvagna
Antonia Galvagna

Ideatrice del metodo "Around the Corner - Anche se il mondo è tondo tutto ciò che cerchi è dietro l’angolo."

Il mio perchè: Essere la persona che avrei voluto incontrare nei momenti di "svolta della mia vita".


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