Imparare a pensare ancora prima che imparare a cosa pensare

Imparare a pensare ancora prima che imparare a cosa pensare

Considerazioni che partono da eventi quotidiani ma mi portano a riflettere su scala più ampia e a motivarmi sempre di più rispetto alcune scelte di responsabilità sociale che ho scelto di fare.
Perchè pensare e allenare a pensare può fare la differenza nelle azioni e nei risultati che otteniamo.

Imparare a pensare ancora prima che imparare a cosa pensare

Passo per scelta molte ore a occuparmi di formazione e incontro studenti “obbligati” a frequentare  corsi che non hanno il più delle volte scelto e che non sentono utili per loro.
In questo frangente la sfida è scardinare vecchie convinzioni legate alla loro giovane vita e al percorso scolastico fatto.
Per alcuni di loro si tratta della scuola dell’obbligo per altri università e master a cui comunque è seguito un contratto di lavoro come “apprendisti”.

Poi penso ai miei insegnanti e agli insegnanti di mio figlio. In entrambi i casi personali possiamo dirci molto fortunati.
Penso anche a quale dovrebbe essere il compito principale degli insegnanti e di come ad esempio io mi impegno a fare formazione.

Nel mio mondo ideale, che fortunatamente è anche in alcuni, e spero sempre maggiori, casi reali, gli studenti dovrebbero imparare a pensare, ancora prima di imparare a cosa pensare. Dovrebbero avere a disposizione tanti strumenti applicabili in diverse situazioni. Le scuole e le università non sempre incoraggiano questo tipo di sviluppo cognitivo. 

Durante il periodo scolastico siamo spinti a specializzarci, a conoscere in modo verticale alcune materie. Questo è utile, ma non sempre, se non accompagnato da una sana curiosità che porti a spaziare tra le meraviglie della conoscenza, con mente elastica e aperta. 

Vicino a questo, troppo spesso viene premiato lo studio mnemonico piuttosto che lo studio critico.

Un insegnante quando spiega può utilizzare due tipi di domande: 
- quelle procedurali,
- quelle concettuali.

Le prime chiedono di mettere in pratica una cosa appena appresa, le seconde richiedono dei collegamenti e che permettono agli studenti di capire i concetti in modo più ampio e non semplicemente come una “procedura”.

Ahimè capita spesso che quando un insegnante fa domande concettuali quasi sempre, subito dopo, si mette a dare degli indizi e di fatto questi suggerimenti trasformano la domanda concettuale in procedurale. 
Si evita così che i ragazzi  pensino a una soluzione e finiscano semplicemente per applicare correttamente un procedimento. 
Questo nel breve periodo è un vantaggio, ma nel lungo no, perchè disabitua al pensiero.
Non a caso Socrate lo aveva capito molto bene e infatti non dava risposte ai suoi allievi.

Pensare è qualcosa che facciamo tutti, così come tutti mangiamo, ma come nel mangiare, anche nel pensare ci sono abitudini sane e abitudini malsane di cui dobbiamo diventare consapevoli, soprattutto in un’epoca in cui sempre di più la responsabilità del pensiero viene delegata alla tecnologia. 

Per pensare bene non dobbiamo aver fretta ma ad esempio concedere alla mente il tempo necessario per “vagare” liberamente.
Imparare a imparare e imparare a pensare sono abilità.
Il pensiero più funzionale è basato su riflessione decisione e azione.
Questo consente di trovare anche il giusto equilibrio tra sistema 1 (più istintuale e abitudinario) e sistema 2 razionale, critico analitico.
Abbandoniamo nei momenti cruciali la fretta di dimostrare che stiamo facendo qualche cosa e concediamoci il tempo di esplorare in modo creativo le fasi del pensiero.

Chiudo con un richiamo alla responsabilità educativa e didattica perchè “La soluzione ai problemi degli adulti di domani dipende in larga misura da come i nostri figli crescono oggi.” Margaret Mead


Antonia Galvagna
Antonia Galvagna

Ideatrice del metodo "Around the Corner - Anche se il mondo è tondo tutto ciò che cerchi è dietro l’angolo."

Il mio perchè: Essere la persona che avrei voluto incontrare nei momenti di "svolta della mia vita".


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